Intervista

Maurizio Savoca Partner DOCFLOW

 

 

 

A che punto siamo con la digitalizzazione dei processi nelle realtà aziendali italiane?

Come spesso succede la focalizzazione sulla transizione digitale nelle grandi organizzazioni prende diverse vie: alcune veloci e affrontate con lucidità, altre lente, lentissime e improntate alla casualità. Si è fatto molto ad esempio nella dimensione della relazione con il cliente o nella creazione di modelli di vendita elettronici intelligenti, digitalizzando la relazione e creando soluzioni di omnicanalità e di social engagement. Ci si è concentrati insomma sul “miglio” più prezioso per il business operando una trasformazione molto orientata ai rapporti con l’esterno. Poco invece, pochissimo, nella digitalizzazione dei processi interni, soprattutto sui processi decisionali e di maggior valore strategico dell’azienda. Tutte le attività a forte impatto sul futuro dell’organizzazione, dalla progettazione creativa alla definizione di un semplice budget, viaggiano ancora su fogli elettronici e su uno scambio intenso di mail difficili da organizzare.

Nelle intranet continua a prevalere la presenza ingombrante degli ERP o di soluzioni verticali che monopolizzano, e a volte ingessano, i processi di tutte le funzioni aziendali. Ovviamente parliamo di strumenti essenziali ma che non danno una copertura totale sul processo e non supportano gli utenti nelle fasi collaborative, ovvero quando si necessita di una attività di raccolta di informazioni o di pareri, quando si devono collezionare le approvazioni necessarie per validare una transazione, quando si devono prendere decisioni in modo cooperativo. Nessun processo di business può essere ingabbiato in una struttura predefinita. Le aree non definite, le fasi di lavoro a “quattro mani”, le azioni correttive in progress sono innumerevoli e impossibili da disegnare a priori. Standardizzare alcune parti è augurabile ma sovradimensionare il perimetro di applicazione e/o strutturare in modo eccessivo può essere letale.

Da sempre esistono sul mercato strumenti di BPM e di case management che consentono di complementare gli ERP e i verticali estendendone le funzionalità e arrivando in modo capillare e puntuale agli utenti per consentirgli di fare le sue scelte e condividere i propri contributi. L’affiancamento di tecnologie “morbide” a quelle “robuste e rigorose” che oggi utilizziamo quotidianamente è una sfida complessa ma necessaria.

 

Perché è così difficile introdurre questi strumenti?

Semplicemente per abitudine e per una sorta di rifrazione ottica che non ci fa accettare la flessibilità e la indeterminatezza come due caratteristiche essenziali dei processi lavorativi. Per cui di fatto abbiamo due modi di agire: o cerchiamo sul mercato soluzioni standard da imporre in modo monolitico alla propria organizzazione o ci affidiamo ciecamente agli RPA e dunque alla robotizzazione del processo nei suoi task più ripetitivi.

L’effetto è uno spostamento in massa degli utenti verso gli strumenti di comunicazione (mail, chat, videochiamate…) che vengono affollati e intasati da messaggi che servono a supportare lo stato di avanzamento di un processo e/o a sbloccare e risolvere le fasi critiche delle attività in corso.

Noi riteniamo che  mixare gli ERP e gli strumenti che robotizzano con soluzioni che reggono la creatività degli utenti e ne supportino le esigenze di adattabilità è la sfida più difficile della Digital Transformation. L’automazione può essere buona o cattiva, ma questo è scontato. Ciò che è meno ovvio e che il digitale funziona bene quando si occupa degli umani e rappresenta una leva per sviluppare opportunità reali di crescita e funziona meno, o quasi per nulla, quando si mira ciecamente all’efficienza e al taglio dei costi. La misura più importante di qualsiasi trasformazione digitale rimane l’uomo, il suo spazio di azione, la sua capacità di esprimersi con successo.

 

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